Auto aziendali, stretta sulle termiche: l’aumento delle tasse colpirà gli stipendi di chi le usa
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ROMA – Con l’approvazione definitiva della legge di conversione del decreto Milleproroghe e la bocciatura degli emendamenti che prevedevano il rinvio dell’entrata in vigore della norma che cambia il criterio di tassazione delle auto in fringe benefit, non solo l’auto aziendale rischia per molti di trasformarsi da beneficio in aggravio di stipendio, ma il mercato delle flotte aziendali, che rappresenta il 42% delle immatricolazioni totali, potrebbe subire pesanti contrazioni, con conseguente taglio per l’erario di 125 milioni di euro.
La riforma della tassazione sui fringe benefit, contenuta nella legge di conversione del Milleproroghe, inserisce dal primo gennaio 2025 nuovi coefficienti di calcolo della base imponibile per le auto aziendali ad uso promiscuo. Coefficienti che non saranno più basati sulle emissioni CO2 del veicolo ma sulla tipologia di alimentazione, con l’obiettivo di favorire l’inserimento nelle flotte di veicoli elettrici ed ibridi plug-in, disincentivando l’utilizzo di quelli con motore termico. In base a questa nuova formulazione, le auto elettriche vengono valorizzate con un coefficiente del 10% e le ibride plug-in del 20%, con un beneficio tra il 5 e il 10% rispetto alla normativa precedente, che prevedeva un coefficiente del 25% per la fascia di emissioni tra 0 e 60 g/km di CO2 emessa. Tutte le altre tipologie di alimentazione, indipendentemente dalle emissioni, vedranno invece applicato un coefficiente del 50%. Questo significa che ad essere penalizzati non saranno solo i veicoli diesel o benzina, ma anche i full hybrid, mild hybrid, bifuel e GPL, cioè tutti quelli con motore termico non ricaricabili, che corrispondono all’85% delle auto aziendali.
Le nuove regole non fanno neanche distinzione tra un’utilitaria e un’auto di lusso o una supercar, cosa che non accadeva fino al 2024, quando il coefficiente fiscale era del 30% per la fascia di emissioni 61-160 g/km, del 50% per le auto tra 161 e 190 g/km, fino a raggiungere il 60% per i veicoli oltre i 190 g/km di emissioni CO2. Insomma, applicando la disciplina in vigore dal 2025, si potrebbe arrivare al paradosso che una Fiat Panda nella versione base, quindi con un coefficiente fiscale del 50%, abbia un valore del fringe benefit imponibile complessivo superiore a quello di una Porsche Taycan, auto sportiva elettrica di lusso dal prezzo di listino di oltre 100 mila euro, che però ha un coefficiente fiscale del 10%.
In generale, la nuova norma, con l’aumento del coefficiente dal 30 al 50%, colpisce pesantemente soprattutto le auto con motore termico nella fascia di emissioni tra 61 e 160 g/km di CO2, che costituiscono almeno il 75% delle immatricolazioni dei soggetti Iva. E questo, a causa dell’aumento del reddito imponibile e quindi dell’Irpef e dei contributi previdenziali, avrà un effetto immediato sia sugli stipendi dei lavoratori, che saranno più bassi, sia sugli oneri contributivi delle aziende che, a causa della maggiore tassazione sul fringe benefit, subiranno un incremento. Questo potrebbe portare molte imprese, soprattutto le più piccole, a ridurre il numero di veicoli concessi ai dipendenti o, in alcuni casi, a proporre ai lavoratori di contribuire economicamente al costo del veicolo, trasformando quello che era un beneficio in un onere aggiuntivo.
Aniasa, l'associazione che rappresenta le aziende di noleggio a lungo termine e servizi di mobilità, stima che con l’applicazione della nuova norma ci sarà un incremento annuo del valore imponibile del benefit auto in media di 1.600 euro (+67%). L’aumento della tassazione interesserà circa 1 milione di italiani che utilizzano l’auto aziendale e i più penalizzati saranno i dipendenti della classe media che, di norma, sono i principali utilizzatori delle vetture diesel o benzina. Questo porterà nel 2025 a una riduzione di almeno il 30% delle immatricolazioni di autovetture a uso noleggio a lungo termine (circa 60.000 unità) e del 20% di acquisti da parte delle società (15.000 unità), con minori entrate per l’Erario e gli Enti Locali stimate in 125 milioni di euro.
Ma non è finita qui. Durante l’iter legislativo, è stata di fatto bloccata la cosiddetta clausola di salvaguardia, con la quale il governo aveva deciso di escludere dalla stretta del 2025 i veicoli ordinati nel 2024 ma consegnati ai dipendenti nel corso di quest’anno. E anche se l’intenzione sembrerebbe quella di riproporla in un nuovo provvedimento d’urgenza appena sarà possibile, secondo Aniasa la mancanza di una specifica clausola di salvaguardia per il pregresso, genera anche un altro rischio: che la precedente regolamentazione dei fringe benefit, sostituita da quella entrata in vigore il primo gennaio di quest’anno, non sia più applicabile alle auto assegnate e immatricolate fino al 31 dicembre 2024. In sostanza, le vetture consegnate fino al 31 dicembre 2024 non potrebbero più beneficiare nel 2025 della determinazione forfettaria del valore del fringe benefit basata sulle tabelle Aci, ma dovrebbero tornare al regime analitico del 1997. Cosa che, in molti casi, porterebbe ad un significativo aumento degli imponibili fiscali e, quindi, della tassazione per questi soggetti, nonostante si tratti degli stessi veicoli già concessi in uso dall’azienda.
Per parlare di questo e dei pesanti aggravi economici e di mercato che l’aumento dell’aliquota fiscale al 50% per tutti i veicoli in fringe benefit non ricaricabili rischiano di generare, Anfia, Aniasa e Unrae hanno chiesto un urgente incontro al governo in una lettera aperta inviata nei giorni scorsi.
repubblica