Fenomeno R5 Turbo, la storia di un’icona degli anni ’80 che torna in versione elettrica da 555 Cv

ROMA – Sul finire degli anni Settanta, a Boulogne-Billancourt fecero una scommessa folle: trasformare una tranquilla utilitaria in una belva da rally. Fu così che nacque la R5 Turbo, una Renault 5 solo di nome, ma sotto la pelle completamente diversa dal modello originario. Il motore? Non più anteriore, ma centrale. La trazione? Posteriore. Il peso? Ridotto al minimo. Doveva essere un’arma contro le regine della categoria: Lancia Stratos, Fiat 131 Abarth, Ford Escort RS.
Presentata ufficialmente nel 1980, la R5 Turbo rivelò subito un’anima esplosiva. Il piccolo 1.4 turbo da 160 Cv, infilato a forza dietro i sedili anteriori al posto del divano posteriore, spingeva una carrozzeria allargata con diverse parti in alluminio, segnata dalle fiancate bombate e da prese d’aria sistemate ovunque. Non era solo grintosa nell’aspetto: era velocissima e, soprattutto, feroce. Limitata nella massa a 970 kg, la francese accelerava da 0 a 100 km/h in meno di 7 secondi e toccava i 200 km/h di velocità massima, sfoggiando un comportamento da supercar in formato tascabile, capace di sorprendere e lasciare basiti anche i più scettici.

Nel 1981 arriva la versione Cévennes: più rigida, più affilata, preparata per affrontare i regolamenti del Gruppo 4. L’assetto si irrigidisce, il turbo viene ritoccato e il carattere si fa ancora più ruvido. È un’auto per piloti, pensata per i rallysti privati e le corse su asfalto, realizzata in sole 20 unità.
Ma è col passaggio al Gruppo B che la R5 Turbo si trasforma davvero. Nasce la Tour de Corse, con potenze fino a 285 Cv, carreggiate ancora più larghe e raffreddamenti esasperati ad enfatizzarne ulteriormente l’indole grintosa. È il 1983, la compatta sportiva della Losanga fa davvero paura. Ancora però non basta, Renault vuole vincere nelle competizioni.

Il capolavoro arriva allora poco dopo: nel 1985 debutta la Maxi 5 Turbo. Il motore cresce a 1.5 litri, la potenza sale a 350 Cv e il peso scende a 905 kg. Le carreggiate si allargano in modo mostruoso, l’aerodinamica si affina ulteriormente e la carrozzeria si trasforma in un manifesto da corsa.
L’auto diventa un mostro da asfalto. Il suo nome si lega indissolubilmente a quello di Jean Ragnotti, che la porta alla vittoria nel Campionato Mondiale Rally a Monte Carlo nel 1981 e al Tour de Corse nel 1982, battendo le Audi Quattro a trazione integrale. È leggenda pura.
Dal 1980 al 1986 vengono prodotti poco meno di 5.000 esemplari tra Turbo I e Turbo II. Quest’ultima, più “civile”, adotta una carrozzeria in acciaio, interni meno corsaioli, materiali più accessibili. Ma lo spirito resta lo stesso: sempre due posti, sempre motore centrale, sempre turbo.

Le versioni da gara - Cévennes, Tour de Corse, Maxi - circolano in numero ancora più ristretto, spesso trasformate in garage privati o conservate nei reparti sportivi Renault. Alcuni esemplari vengono modificati ulteriormente, altri vivono una seconda vita nei campionati storici o nei raduni più esclusivi. Poi cala il sipario. Il Gruppo B viene cancellato, la compatta d’oltralpe esce di scena ma il mito cresce. I collezionisti la cercano, i giovani la sognano. Il modello diventa un’icona: l’auto più pazza mai derivata da una citycar.
Adesso finalmente la R5 Turbo torna, non per nostalgia ma per sorprendere ancora. La nuova edizione denominata Turbo 3E, attesa come modello stradale a partire dal 2027, ne è l’erede in chiave elettrica. Al pari dell’antenata ha forme esagerate e potenza da vendere, con due motori a batteria da 555 Cv complessivi sulle ruote posteriori (pari a 410 kW) che la spingono fino a una velocità massima di 270 km/h con un’accelerazione 0-100 km/h in 3,5 secondi.
È un tributo irriverente alla madre di tutte le hot hatch, pronta - come da tradizione - a segnare l’asfalto con partenze a razzo e derapate, senza però inquinare.
repubblica