Plan B Motorcycles: dal vecchio Ténéré di famiglia all’Eternal City Moto Show

Roma si prepara a diventare la capitale delle due ruote con l’Eternal City Moto Show, in scena il 27 e 28 settembre. Un appuntamento che mescola passione, spettacolo e cultura motociclistica, trasformando la città in un vero palcoscenico a cielo aperto.
InMoto sarà partner ufficiale della manifestazione e racconterà da vicino ogni momento, con aggiornamenti in diretta dal Salone e sulle principali novità. Tra le aree più attese ci sarà la Workshop Legends, lo spazio curato dal customizer Andrea “Dopz”, dedicato a Cafè Racer, Scrambler e Special: un punto di riferimento imperdibile per chi ama le preparazioni artigianali e l’anima più autentica del custom. Qui troveranno posto moto uniche, nate dalla creatività e dal lavoro di officine italiane che hanno fatto del custom uno stile di vita. Per anticipare l’atmosfera dell’evento, abbiamo incontrato alcuni dei protagonisti. Dalla sfida con il vecchio Ténéré di suo padre alle creazioni per Plan B Motorcycles. Christian Moretti è partito dal garage dietro casa, a Laveno Mombello. La sua arte è trasformarre vecchie moto in creature assetate d'asfalto.
Raccontaci in breve di te per chi non ti conosce e di come hai cominciato a customizzare moto "Ho iniziato per caso, come spesso succede con le cose che poi ti cambiano la vita. Volevo una moto, ma non potevo permettermela. Così ho pensato: 'Prendo il vecchio Ténéré di mio padre, lo sistemo un po’ e lo faccio come piace a me. Sicuramente spendo meno!'. Beata ingenuità… Ho scoperto presto che non era affatto così. Ma ormai era diventata una sfida, e soprattutto un’ossessione. Ho iniziato a smontare, tagliare, sbagliare, ricominciare. E non ho più smesso".
Che significa creare moto per Plan B Motorcycles? "Per me costruire moto non è romanticismo da poster con frasi motivazionali. È una questione di proporzioni. Una moto deve sembrare veloce anche quando è parcheggiata. Se ci riesco, allora ho fatto centro. Tutto il resto – comfort, mode, gadget – si può sacrificare. Ogni progetto parte da regole che mi imposto da solo e da una storia di riferimento: a volte è un dettaglio preso dal mondo delle corse d’epoca, altre volte una “moto fantasma”, qualcosa che avrebbe potuto esistere in un universo parallelo. Quella storia mi guida e mi obbliga a restare coerente. Il risultato finale deve sembrare inevitabile, come se quella moto fosse sempre stata così".
Cosa ci mostrerai all’Eternal? "Porto due progetti molto diversi tra loro. La Yamaha TR-1 “Silver Arrow”: una cafè racer bassa, pulita, con ciclistica e motore completamente rivisti. Non è una moto “truccata”: è stata ripensata per funzionare meglio, non solo per sembrare bella. E poi c’è la Zero FX “Blackbird”: una stradale elettrica. Lì ho voluto sperimentare con l’estetica dell’elettrico, che secondo me è sempre un po’ vittima di due estremi: o il vintage forzato, o il futurismo da astronave. Io ho provato a darle un linguaggio contemporaneo, qualcosa che avesse senso oggi, senza scuse e senza nostalgie".
Cosa ti ha ispirato per queste moto? "La Silver Arrow nasce dalle cafè racer londinesi. È una giapponese travestita da inglese, con un motore modificato per strizzare l’occhio alle Vincent di un tempo. Un mix di discipline, come se un rocker del ’59 avesse messo le mani su una moto giapponese degli anni ’80. La Blackbird, invece, è ispirata dal vuoto. Da ciò che manca sulle elettriche: niente scarico, niente cambio, niente frizione. Ho voluto riempire quel vuoto con forme e proporzioni, non con finti richiami al passato".
Qual è stato il momento più difficile nel realizzare le moto che porterai all’Eternal? "Sulla Yamaha, senza dubbio la parte motoristica. Ho modificato la testa posteriore per fare in modo che potesse lavorare al contrario, invertendo aspirazione e scarico. Non era tecnicamente possibile semplicemente ruotarla di 180 gradi, quindi ho dovuto improvvisare: prove, errori, soluzioni inventate sul momento. Sulla Zero, invece, la sfida è stata estetica: dare carattere a una moto senza i “pezzi forti” che la definiscono. Ho dovuto costruire un linguaggio nuovo e tradurlo in alluminio, senza poter nascondere nulla sotto vernici coprenti. È stato anche il progetto in cui ho usato di più il 3D e componenti stampati o ricavati dal pieno: un mix di tradizione e tecnologia che mi ha spinto fuori dalla mia comfort zone".
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Tuttosport