In moto sull'Himalaya per 1.500 km con la Royal Enfield

Avrebbe potuto rivelarsi un viaggio molto più folle di quel che in realtà è stato. Ed è lecito partire con questa promessa perché, una volta rimpatriati e raccontata l’avventura ad amici, parenti, colleghi e curiosi conoscenti, l’espressione di stupore sui loro volti è stato il leitmotiv di ogni singola interazione. In effetti, a parole spaventa quasi dire "ho guidato per 1.500 km sulla catena montuosa dell’Himalaya, spaziando da 3.500 a 5.800 metri sul livello del mare, raggiungendo la vetta più alta al mondo percorribile in moto. In alcuni punti l’asfalto non c’era. Non c’era neanche un guard-rail, a dire il vero. Però c’era un precipizio (o forse più di uno, tipo cento?) che, a guardarli, davano poche speranze di sopravvivenza in caso di errore. Talvolta non c’era neanche la strada, ce la siamo inventata".

In realtà va detto che Royal Enfield ha organizzato in modo impeccabile questo viaggio, studiando l’evento non solo per giornalisti e tester professionisti, ma pensando l’esperienza anche per neofiti o poco più. Sì, certo, l’errore umano può sempre capitare, ma i tour leader hanno spesso optato per compattare e rallentare il gruppo in punti critici del percorso, caratterizzato da strade mai realmente strette, altro aspetto sorprendente. Le strade (o il fuoristrada) del percorso si sono dimostrate ben più larghe che una nostra provinciale su di un passo di montagna. Quindi, anche in caso di leggero “lungo”, c’era margine eccome per mettere una pezza alla situazione. Sta poi al singolo capire fino a che punto spingersi, ma è ovviamente sempre meglio tenersi i jolly in tasca. Ribadiamo: l’evento è alla portata di tutti.

I nostri compagni di viaggio – un collega californiano con oltre 50 anni di esperienza in off-road ed un altro sudafricano con oltre 30 anni d’esperienza in pista – hanno vissuto, proprio come noi, l’esperienza in totale relax, visto il passo rilassato tenuto durante gli 8 giorni in sella. Con noi c’erano anche un giapponese e otto turchi, con esperienza in sella molto disomogenea fra di loro. Questo ha talvolta imposto un ritmo più blando al gruppo, ma va sottolineato che il percorso (certo, per alcuni un po’ sfidante) non ha mai messo in seria difficoltà i partecipanti, anche quelli meno esperti con appena 8/9 mesi di pratica con le due ruote.

Senza troppi giri di parole, è giusto sottolineare abbia fatto spaventosamente caldo. Si sono sfiorati i 35° a 3.500 metri sul livello del mare nella cittadina di Leh, nella regione del Ladakh (India), fino a toccare gli 8° – con sprazzi di neve in fase di scioglimento – a 5.800 metri, nel punto più alto dell’Umling La, il passo di montagna più alto al mondo percorribile in auto e moto. Temperature (nel mese di luglio) non molto progressive, dato che a 4.500 metri abbiamo guidato con 24/25°. Insomma, 1.500 km in sella divisi su 8 giorni a queste temperature sono sì fattibili, ma occhio a vestirsi troppo pesanti. E poi il tema altitudine: Royal Enfield ci ha sapientemente permesso di acclimatarci un paio di giorni in quota prima di allacciare il casco e partire. Perché sì, serve abituarsi a convivere con l’aria rarefatta e una quantità certamente più limitata dell’ossigeno. Tant’è che appena atterrati, facendo un piano di scale per arrivare in camera in hotel, ci siamo ritrovati con le mani sulle ginocchia a rifiatare. Cosa che in Italia, ovviamente, non sarebbe mai successa, se non forse sul Monte Bianco.

La catena montuosa più impervia del pianeta dà il nome alla Royal Enfield Himalayan 450, monocilindrica raffreddata a liquido ora capace di 40 Cv, con un incremento di potenza quasi raddoppiato rispetto al modello precedente, nonché nostra compagna di viaggio. Adventure senza grandi pretese, l’Himalayan 450 si propone come moto pratica, semplice, economica (con i suoi 5.900 euro) e pronta ad essere usata in condizioni piuttosto gravose senza batter ciglio. Il cambio è manuale a 6 marce senza quickshifter, quindi l’uso della frizione (morbida) è pressoché obbligatorio sia in innesto che in scalata. La potenza limitata conferisce al mezzo un animo estremamente pacifico.

Anche per questo motivo non abbiamo mai avvertito pressione, ansia, timore di non essere all’altezza del viaggio. Sapere di guidare una moto bilanciata, pacata e progressiva è un importante tassello di preoccupazione in meno. Specie se ci si trova dalla parte opposta del pianeta, in off-road, in un contesto socio-economico-culturale completamente diverso da quello italiano. Provare per credere. Royal Enfield, con l’Himalayan 450, punta sulla semplicità: anche l’elettronica è semplificata al massimo. Nessun controllo di trazione, due mappe motore (Performance ed Eco, con quest’ultima pressoché superflua vista la modesta potenza in gioco), ride by wire e Abs disinseribile solo al posteriore.

Il primo contatto con la Royal Enfield Himalayan 450 è avvenuto raggiungendo il punto in cui i fiumi Indus e Zanskar s’incontrano. Qui si è svolto il briefing iniziale, condito con una sessantina di km in sella per prendere confidenza con la moto in vista della prima vera giornata di guida, direzione sud-est da Leh al lago Pangong, situato a 4.350 metri sul livello del mare. Per arrivarci abbiamo affrontato una serie di guadi (anche mediamente impegnativi), 175 km (prevalentemente su asfalto) e il Chang La (passo a 5.360 metri). All’alba seguente abbiamo sfiorato il confine con la Cina, percorrendo 110 km tutti su asfalto prima di raggiungere Hanle. Qui ci aspettavano una tenda e due notti sotto le stelle (senza la possibilità di fare una doccia per 48 ore).

La giornata più impegnativa è stata senza ombra di dubbio la prima al risveglio in tenda: 220 km complessivi, da Hanle sino a raggiungere Umling La, la strada più alta al mondo percorribile in auto e moto con i suoi 5.798 metri. Lungo il percorso non sono mancati tratti di off-road, per complessivi 50/60 km. In alcuni tratti – terminato l’asfalto e terminato pure il sentiero in fuoristrada – ci siamo trovati a dover tracciare la strada un po’ come sono soliti fare i dakariani, in queste distese montuose senza quasi vedere l’orizzonte. Abbandonato il campo base il giorno seguente, con ulteriori 300 km di percorso tutti su asfalto e ripassando per Leh, ci siamo portati a Saspul. Da qui abbiamo preso la strada per il Khardung La, 5.359 metri, emozionante vetta anch’essa percorribile in moto. Arrivati a Hunder, sulle sponde del fiume Shyok, nella penultima giornata si è optato per visitare Turtuk, cittadina al confine con il Pakistan. Infine, ripassando per il Khardung La, nell’ottava giornata in sella siamo tornati a Leh, punto di partenza del nostro viaggio.
La riflessione finale riprende il discorso iniziale. Nonostante a parole venga involontariamente descritto come un viaggio molto provante e complicato – basta citare l’Himalaya e sembra tutto più difficile – la realtà è che la nostra esperienza è stata alla portata di tutti. Poi, probabilmente, optando per percorsi più impegnativi, forzando più il ritmo o guidando moto più prestazionali, è possibile vivere l’esperienza con quel pizzico di adrenalina in più, mettendo più a dura prova il proprio fisico sempre rimanendo all’interno dei confini del Ladakh. Al netto di un piccolo tamponamento tra due ragazzi turchi, il livello di difficoltà dei tratti in off-road non si è mai avvicinato a quello di molti tratti “da bicilindrica” che abbiamo in Italia.
Va detto, tuttavia, che l’organizzazione ha optato per tagliare un centinaio di km in fuoristrada per le condizioni meteorologiche avverse nella determinata zona. Peccato, ma con gomme semitassellate e monocilindriche da 40 Cv e 200 kg di peso non si poteva rischiare a 5.000 metri d’altezza. È stato un viaggio più difficile dal punto di vista mentale che fisico. Il tutto, però, ripagato dagli scorci del paesaggio: sembrava di stare in mezzo al deserto, con sabbia ai lati della strada, e poi – alzando lo sguardo – osservare l’erigersi di queste vette interminabili, intravedendo a malapena la neve in cima.

Motore | monocilindrico 4T raffreddato a liquido, 451,65 cc, 4 valvole, Euro 5+ |
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Potenza | 40 Cv a 8.000 giri/min |
Coppia | 40 Nm a 5.500 giri/min |
Cambio | manuale a 6 marce, frizione multidisco |
Dimensioni | lunghezza 2285 mm, larghezza 852 mm, altezza 1316 mm, altezza minima da terra 230 mm, altezza sella 805-845 mm, interasse 1510 mm, peso a secco 181 kg, peso in ordine di marcia 196 kg, capacità serbatoio 17 litri |
Telaio | doppio trave in acciaio |
Sospensioni | anteriore forcella Showa a steli rovesciati da 43 mm di diametro e 200 mm di escursione; posteriore monoammortizzatore Showa idraulico, 200 mm di escursione |
Freni | anteriore disco singolo da 320 mm di diametro, Abs permanente; posteriore disco singolo da 270 mm di diametro, Abs disinseribile |
Pneumatici e cerchi | anteriore 90/90-21”; posteriore 140-80-17” |
Consumi rilevati | 34,7 km/l |
Prezzo | 5.900 euro. |

Casco | Caberg Tanami A1 |
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Guanti | T.Ur G-Speed Grey e T.Ur G-Five Hydroscud |
Intimo tecnico | Dainese e Acerbis |
Giacca | T.Ur Waypoint Ice |
Paraschiena | T.Ur Comfort Schiena |
Pantaloni | T-Ur Gibraltar |
Antipioggia | T-Ur Must Have Jacket Black |
Pantaloni antipioggia | T-Ur Must Have Black |
Stivali | Eleveit Tonale WP |
Borsone | Ogio RIG 9800 |
Tester | 174 cm, 82 kg. |
La Gazzetta dello Sport